Animali, carceri e consapevolezze
Il carcere per i maltrattamenti sugli animali, davvero una svolta di civiltà?
Chi vi scrive ha un cane bellissimo, un po’ matto ma bellissimo, preso in un canile.
Un cucciolo di pochi mesi tolto alla mamma e tenuto a catena, un cagnolino che a breve compirà dieci anni ma ancora risente di ciò che ha vissuto quando è arrivato su questa terra.
Lo dico come premessa, consapevole di come sembri un “Io ho tanti amici gay, però…”, perché qualche giorno fa il Senato ha approvato il DDL Brambilla sui reati contro gli animali.
Maltrattamenti, uccisioni e organizzazioni di combattimenti tra animali sono ora punibili col carcere (mentre il Ministero dell’Agricoltura dà più spazio alla caccia, ma è un’altra storia).
Bellissimo, no? Finalmente gli animali hanno valore anche per il nostro diritto penale, far loro del male è un reato e si va in galera. Bellissimo, c’è da essere persone orribili per aver da ridire su questo tema.
Alzo la mano, mi confesso.
Sono la persona orribile.
Lo sono perché ogni volta che spunta un nuovo reato punibile col carcere a me vengono in mente dei numeri.
Ve li riporto dal sito sovraffollamentocarcerario.it, datati 27 maggio 2025
Posti disponibili nelle carceri italiane: 51.285
Posti realmente disponibili: 46.706
Persone in regime di detenzione: 62.722
Persone che si sono tolte la vita negli istituti penitenziari da gennaio 2025: 33 (almeno)
L’idea del carcere piace, lo so.
Rassicura.
Divide il male dal bene, punisce.
Parlando di animali fa credere che, finalmente, chi ha fatto cose orribili sentirà su di sé quel male.
Hai tenuto un cane in gabbia con altri? Ora meriti minimo-minimo lo stesso trattamento.
Piace agli elettori, piace agli eletti perché è impattante, d’effetto.
”Guardatemi, so cosa pensate sia male, so dove deve andare. In galera, maledetti.”
Rave, manifestazioni, violenza sugli animali.
Da inizio legislatura sono tanti i provvedimenti che hanno aumentato il numero di reati punibili con il carcere, sempre sotto gli scroscianti applausi di chi vede nei penitenziari la panacea di tutti i mali, avallati da ministri e sottosegretari davvero soddisfatti.
Ma più condanne alla detenzione significa più sovraffollamento carcerario, peggiore qualità della vita di chi si ritrova in un penitenziario o di chi vi lavora.
Parlare di detenuti come di persone, di diritti, di dignità è una roba da radicali, da comunisti, da criminali quanto loro.
E può esserlo, ma perché nessuno sposta mai il focus sul valore morale delle opinioni sul carcere?
Dire “Li metterei dentro e butterei la chiave”, “non meritano diritti dietro le sbarre”, “Se muore in carcere ci fa un favore” è una presa di posizione chiara, che a volte arriva ad essere la versione edulcorata del “ci vorrebbe la pena di morte”.
Una visione del mondo che si può sposare o meno, ma di cui bisognerebbe essere consapevoli quando la si esprime, fosse anche solo in un commento sui social.
Questo non è il posto in cui si può ripensare il modello punitivo (e riabilitativo!) che da secoli utilizza la nostra società.
Non ne ho le competenze né lo spazio, ed è poco lo spazio anche per tutte le possibili repliche necessarie a renderlo un dialogo e non una farneticazione.
Ma può essere lo spunto per qualche minuto di personale riflessione.
Oltre alla sensazione immediata di giustizia che può darci leggere una notizia come il carcere per chi maltratta gli animali.
Superare la pancia, andare alla testa, farsi un’idea che non si limiti a bene/male, giusto/sbagliato.
E poi scegliere come portare avanti quell’idea, se con l’attivismo o solo col voto, provando a dar peso a chi sostiene le nostre stesse battaglie.
Sul carcere come su tanti altri temi.
Non è vero che non c’è modo di farsi sentire, ma per farlo bisogna essere sicuri di quel che si vuol dire.